“Il 5 maggio”, una riflessione a scoppio ritardato

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   “Il 5 maggio” di Alessandro Manzoni, dedicata a Napoleone Bonaparte, è una poesia che riassume mirabilmente la parabola della vicenda umana. Mi è capitato di rileggerla di recente e, confesso che l’ho apprezzata molto, ma molto più – per ovvie ragioni – di quando ero studente. La lettura ha stimolato una riflessione a scoppio ritardato.

   Chi era Napoleone Bonaparte? Domanda superflua ma, Continua a leggere ““Il 5 maggio”, una riflessione a scoppio ritardato”

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   <<Fa tesoro di tutto il tempo che hai. Sarai meno schiavo del domani, se ti sarai reso padrone dell’oggi. Mentre rinviamo i nostri impegni, la vita passa. Tutto dipende dagli altri, solo il tempo è nostro. Abbiamo avuto dalla natura il possesso di questo solo bene sommamente fuggevole, ma ce lo lasciamo togliere dal primo venuto.>>

[Seneca, Lettere a Lucilio]

Il capitale psicologico

Nell’odierna società sopravvive solo chi ha una personalità forte. Inevitabilmente i deboli vengono emarginati dal sistema. Nel corso della nostra vita collezioniamo trionfi ma anche cadute e, ogni volta che “finiamo al tappeto” se non siamo capaci di rialzarci, usciremo fuori dal radar. Pertanto è fondamentale proteggere l’unico capitale che tutti abbiamo a disposizione, ovvero, quello avuto in dotazione dalla natura e che nessuno ci potrà mai togliere: il capitale psicologico.

In linea generale, per capitale si intende l’insieme di beni, oggetti di valore o somme di denaro da cui è possibile ricavare un guadagno.

Ci sono diverse accezioni del termine “capitale” può essere distinto in capitale tangibile e capitale intangibile.

Il primo è composto di tutti quei beni che hanno consistenza fisica come, ad esempio immobili, impianti, macchine, mobili, ecc.

Il secondo coincide con le risorse della conoscenza. Afferiscono a quest’area il know-how, il capitale umano e il capitale psicologico.

Il know-how, letteralmente, è una locuzione che si riferisce al complesso delle cognizioni ed esperienze accumulate relativamente al corretto impiego di una determinata tecnologia. In senso lato, indica il possesso di cognizioni e abilità specifiche necessarie per svolgere in modo ottimale un’attività, una professione, ecc.

Relativamente al capitale umano il riferimento è all’insieme di competenze, conoscenze, capacità, ecc., acquisite nel corso della vita da un individuo.

Per capitale psicologico s’intende quel patrimonio che, caratterizzando un individuo rispetto a un altro, aiuta ciascuno ad esprimere il proprio talento, trovando in se stesso le risorse necessarie.

Il capitale psicologico è il più importante di tutti perché, lo ribadisco, è l’unico di cui tutti disponiamo.

Per investimento, infine, s’intende l’impiego produttivo del proprio capitale finalizzato al suo mantenimento e incremento nel tempo. Un investimento che non dà frutto è considerato capitale morto.

Il capitale psicologico è un valore aggiunto da “coltivare” e proteggere.

Uno degli studiosi che ha contribuito in maniera significativa all’elaborazione del concetto di Psychological Capital, conosciuto anche come “PsyCap”, è lo statunitense Fred Luthans, noto per i suoi studi sul comportamento organizzativo.

Sostanzialmente, Luthans fa riferimento ad uno stato psicologico orientato allo sviluppo, condizionato da un insieme di variabili, ovvero, l’insieme delle caratteristiche individuali che, in ottica sinergica, mettono in condizione un individuo di ottenere delle performances eccellenti, di adattarsi all’ambiente di lavoro e tesaurizzare esperienze ed errori.

Secondo il modello teorico proposto da Luthans e Youssef (2004) lo PsyCap si compone di quattro dimensioni: autoefficacia, ottimismo, resilienza e determinazione.

Autoefficacia

Il senso di autoefficacia è la consapevolezza che le persone hanno della loro capacità di produrre determinati risultati. L’autoefficacia percepita coincide con un giudizio relativo alle proprie capacità e pertanto è diverso dall’autostima, che è un giudizio che afferisce al proprio valore, e dal locus of control che riguarda l’interpretazione di un evento della propria vita da parte di un soggetto, come causata dalle proprie azioni oppure da fattori esterni alla propria volontà.

La Self-efficacy è legata alla convinzione dell’individuo di saper coordinare, adeguatamente, motivazione, risorse cognitive e comportamenti, in una determinata situazione per raggiungere un obiettivo. Le persone auto-efficaci scelgono i compiti più difficili e gli obiettivi più stimolanti perché sanno di poter riuscire; la loro situazione si accresce in situazioni complesse e la loro tenacia aumenta di fronte agli ostacoli. I buoni risultati raggiunti alimentano un circolo virtuoso che influisce positivamente sullo sviluppo e la crescita degli stessi.

Ottimismo

Tendenzialmente l’ottimista ascrive gli eventi positivi a cause personali interne e stabili, e quelli negativi a cause esterne correlate a specifiche e temporanee situazioni. Conseguentemente crescono sia il morale che l’autostima.

L’ottimista per sua natura è orientato a vedere solo i lati migliori che caratterizzano la vita, a giudicare positivamente la realtà che lo circonda e a valutare positivamente una situazione. L’ottimismo è sano nel momento in cui il soggetto ha fiducia nel futuro, vede il successo delle sue azioni e il raggiungimento dei suoi obiettivi sulla base di una situazione che trova un riscontro positivo nella realtà. L’ottimismo certamente aiuta ad affrontare la vita, ma da solo non basta, soprattutto quando si tratta di affrontare situazioni gravemente compromesse: occorre ben altro che pensare positivo! Il pericolo principale è che a volte l’atteggiamento ottimistico è correlato ad una visione distorta e disfunzionale della realtà.

Resilienza

In ottica psicologica, secondo Pietro Trabucchi, per resilienza s’intende <<la capacità di persistere nel perseguire obiettivi sfidanti, fronteggiando in maniera efficace le difficoltà e gli altri eventi negativi che si incontreranno sul cammino.>> [https://www.pietrotrabucchi.it/paginab.asp?ID=3]

Resiliente è colui che è capace di riorganizzare positivamente la propria vita ogni volta che incontra delle difficoltà, resistere, ma anche costruire e riuscire a riorganizzare positivamente la sua vita preservando la propria identità.

Ciò che distingue il resiliente dal vulnerabile, pertanto, è la diversa valutazione che viene data all’insuccesso. Il resiliente sopporta i disagi fisici, ricuce strappi e ferite causate dalle frustrazioni quotidiane, affronta e tesaurizza i fallimenti.

Determinazione

Essere determinati permette di vedere opportunità dove gli altri vedono solo difficoltà. Chi è determinato finalizza ogni azione al raggiungimento del proprio obiettivo, senza distrazioni, senza tentennamenti, senza dubbi, senza incertezze, senza cedere di un centimetro, senza cambiare idea, proseguendo fino al traguardo.

“Non temo l’uomo che ha praticato 10.000 calci una volta, ma temo l’uomo che ha praticato un calcio 10.000 volte” ha detto Bruce Lee.

La tenacia e la perseveranza sono alleati preziosi della determinazione. Tenace è la persona che non demorde, non cambia idea, che è decisa a perseguire i propri intenti, è ferma nella volontà e decisa nell’azione. Perseverante è colui che è costante nel perseguire i propri propositi, nell’insistere in un atteggiamento o in un’attività.

Essere determinati vuol dire mettersi in cammino nonostante il vento non sia favorevole, non mollare di fronte alle prime difficoltà, rialzarsi ogni volta che si cade, perseverare anche se i risultati tardano ad arrivare, essere intransigente relativamente all’obiettivo da raggiungere, ma flessibile per quanto attiene alla strada per raggiungerlo. Sostanzialmente, si tratta di tener duro. Il che vuol dire: reggere la pressione e non desistere quando il peso diventa insopportabile.

Dedicato agli studenti demotivati

Dialogo tra Renzo e don Abbondio (tratto da “I promessi sposi” di Alessandro Manzoni:

 

A: “Sapete voi quante e quante formalità ci vogliono per fare un matrimonio in regola?”

R: “Bisogna ben ch’io ne sappia qualche cosa” disse Renzo, cominciando ad alterarsi, “poiché me ne ha già rotta bastantemente la testa, questi giorni addietro. Ma ora non s’è sbrigato ogni cosa? non s’è fatto tutto ciò che s’aveva a fare?”

A: “Tutto, tutto, pare a voi: perché, abbiate pazienza, la bestia son io, che trascuro il mio dovere, per non far penare la gente. Ma ora…. Basta, so quel che dico. Noi poveri curati siamo tra l’incudine e il martello: voi impaziente; vi compatisco, povero giovane; e i superiori… basta, non si può dir tutto. E noi siam quelli che ne andiam di mezzo.”

R: “Ma mi spieghi una volta cos’è quest’altra formalità che s’ha a fare, come dice; e sarà subito fatta.”

A: “Sapete voi quanti siano gl’impedimenti dirimenti?”

R: “Che vuol ch’io sappia d’impedimenti?”

A: “Error, conditio, votum, cognatio, crimen, cultus disparitas, vis, ordo, ligamen, onesta, si sis affinis, …” cominciava don Abbondio, contando sulla punta delle dita.

R: “Si piglia gioco di me?” interruppe il giovane. “Che vuol ch’io faccia del suo latinorum?”

A: “Dunque, se non sapete le cose, abbiate pazienza, e rimettetevi a chi le sa.”

 

Don Abbondio cerca di abbindolare il povero Renzo stordendolo con parole difficili, facendogli mille storie, ma soprattutto terrorizzandolo con frasi in latino. La vicenda vi è nota per cui è superfluo continuare, salvo sottolineare il fatto che, nonostante Renzo sia un tipo sveglio, essendo sprovvisto di una cultura adeguata, comunque era alla mercé di don Abbondio che poteva fare sfoggio di erudizione per tenerlo a bada.

Scrivete voi il morale della favola…