Positivo!

Ho sempre associato il termine “positivo” ad un qualcosa di vantaggioso, favorevole. “Essere positivo”, “pensare positivo”, per me erano due locuzioni che rimandano ad un qualcosa di bello, di buono, di positivo, appunto.

Poi un “bel giorno” – premetto che prima di allora non avevo mai avuto a che fare con questa parola in ambito medico – stavo eseguendo una prova da sforzo in un ambulatorio ospedaliero sull’apposito tapis-roulant e non riuscii a portarla a termine. Alquanto timoroso, chiesi al dottore come era andata e lui, laconico: <<Positivo.>>

Mi sentii sollevato e commentai: <<Grazie a Dio è andata bene.>>

E lui: <<No, prof. Al contrario bisogna fare una coronografia per saperne di più. Qui non la facciamo, ma provvedo immediatamente a fare la prenotazione presso una struttura abilitata.>>

Si trattò di uno schiaffo in faccia in piena regola.

Non solo ero mortificato nell’orgoglio per l’equivoco in cui ero incappato, aggiungiamo la preoccupazione per la mia salute in considerazione della solerzia del medico e si avrà più chiara la situazione circa il mio stato d’animo in quel momento.

Nel giro di due giorni mi ritrovai disteso su di un tavolo operatorio per fare due angioplastiche.

Per fortuna da allora non ci furono più equivoci e quando otto anni dopo mi fu recapitato il risultato di una TAC all’addome e la sentenza fu “positivo” non ebbi alcun dubbio. Di nuovo disteso su di un tavolo operatorio, questa volta mi fu tolto un rene. E se oggi posso ritornare su quei terribili momenti rifletto che, nella vita, è fondamentale non solo capire il senso di una parola, ma anche conoscere le varie accezioni e sfumature dei termini presenti nel vocabolario.

Per sfizio, nello scrivere questo post, sono andato a consultare il vocabolo in questione e, udite, udite, mi sono imbattuto in ben otto accezioni… roba da piangere. Avrei voluto dire da ridere ma, ribadisco, è proprio da piangere.

Luigi Lavorgna

L’uomo nell’età della tecnica

Dal modo di alimentarsi al modo di vestire, dal modo di abitare al modo di comunicare, tutto è appreso dai media, dove ogni spettatore, attraverso microprocessi di identificazione, compra la sua identità, per declinarla nella gioia o nel dolore, nella bontà o nell’odio, nel protagonismo, nella sessualità, nella morte. Tutto questo seguendo quel percorso tracciato dalle tecniche di comunicazione che ci consentono di partecipare a tutte le modulazioni della vita con la velocità e la felicità della pressione digitale.

[Umberto Galimberti, L’uomo nell’età della tecnica]

Il “dritto” muore per mano del “fesso”

Una premessa è quanto mai opportuna per inquadrare nella giusta luce il mio discorso. Sono appena tornato dal supermercato dove ho assistito ad un vivace battibecco tra il cassiere e una cliente. Il ragazzo alla cassa, dopo aver rifiutato di scannerizzare gli acquisti di una signora anziana priva di mascherina, le ha detto gentilmente, ma con risolutezza, che doveva mettere la mascherina, così come prevede la legge, altrimenti non le avrebbe fatto il conto. La signora, dopo aver tentato di giustificarsi dicendo che aveva dei problemi di salute e che con la mascherina non poteva respirare, vedendo che il giovane cassiere era inflessibile, si è arrabbiata e ha cominciato ad apostrofarlo in malo modo. Tra l’altro, gli ha intimato di stare zitto. Poi, vedendo che lui era inamovibile, ha tratto dalla borsetta a tracolla la mascherina e ha ottemperato alla richiesta. Non appena la signora è uscita dal locale, le molte persone che hanno assistito alla scena hanno cominciato ad inveire contro la “scostumata” dicendo l’indicibile.

Piccola riflessione: quando il ragazzo alla cassa aveva bisogno di un supporto durante la “focosa tenzone”, tutti muti; subito dopo, apriti cielo! Ma via!

Nel frattempo che io e mia moglie eravamo in fila per aspettare il nostro turno alla cassa, mi è tornato in mente un vecchio proverbio delle mie parti che recita: <<Il “dritto” muore per mano del “fesso”.>> Pensando al “coronavirus” e alle conseguenze negative che potrebbe procurare un comportamento inadeguato e trasgressivo, a prescindere dal fatto che questo proverbio sia una sacrosanta verità oppure no, credo, in senso lato, che l’adagio voglia mettere in evidenza che la reputazione del fesso è al di sotto dello zero perché fare infinite cazzate nuoce a lui stesso prima che agli altri. Personalmente, sono convinto che essere fesso è una scelta piuttosto che una condizione.

Continuando con un’interpretazione meramente personale, credo che ognuno di noi, fesso o dritto che sia, nel caso, abbia la possibilità di cambiare le carte in tavola o, nella peggiore delle ipotesi, limitare i danni. In fondo, è solo una questione di volerlo o di non volerlo.

Come farlo? Ognuno deve trovare da sé la soluzione. Si faccia un “esame di coscienza”, per dirla con mia madre, si analizzino i pro e i contro, si individuino i punti sui quali lavorare e si proceda con risolutezza.

Luigi Lavorgna

L’aratro e la falce

Finalmente è arrivato nelle librerie L’ARATRO E LA FALCE, la mia ultima “fatica”.

L’aratro, simbolo della semina, e la falce, simbolo del raccolto, rendono appieno l’idea del ciclo produttivo annuale del lavoro nei campi. Questo “reportage” dal mondo dei ricordi è finalizzato a non dimenticare, l’autore per primo, da dove veniamo e come eravamo.

È un “excursus” tra i ricordi d’infanzia, delle lunghe serate d’inverno trascorse vicino al camino acceso, mentre si sgranocchiavano semi e bruscolini e i più grandi gustavano un bicchiere di vino; reminiscenze dagli anni della spensieratezza, delle lunghe passeggiate per le strade di campagna, dei giochi all’aria aperta, delle corse a perdifiato, delle interminabili partite di pallone…

Allora, si avvertiva nell’aria una staticità quasi solenne, una sensazione di solidità e di certezze legate essenzialmente alla tradizione e ad eventi che ciclicamente si riproponevano.

P.S. Ringrazio la testata on-line Il vaglio.it per la splendida recensione.

https://ilvaglio.it/article/11783/presentato-a-puglianello-il-libro-039l039aratro-e-la-falce039-di-luigi-lavorgna.html

È tutto nella nostra testa

THE MESS OF THE WRITER

Quello della vita è un dono meraviglioso. Talvolta non ce ne rendiamo conto, non riusciamo a comprendere quanto siamo fortunati ad essere nati, quanto le nostre madri hanno faticato per farci venire alla luce, quanti sacrifici sono stati fatti per noi. Dovremmo essere grati di quello che abbiamo, anche se poco o meno di quello che ci si può aspettare.

La vita non è un ciclo di continue punizioni, quella cosa che va alla grande per alcune persone e decade in modo disastroso per altre. No, non è affatto così. Ogni singola vita merita di essere vissuta, malgrado a volte ci possano essere molteplici difficoltà, anche più grandi di noi. Tuttavia, non dobbiamo pensare a queste come la nostra vita complessiva. Essa è fatta di tanti piccoli momenti, tra cui sicuramente almeno qualcuno sarà stato degno di essere ricordato in modo positivo, anche durato un attimo. Scaviamo a fondo nelle…

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Dimentica quello che è stato

…dimentica quello che è stato…

…comunque non tornerà…

io non voglio cancellare il mio passato

perché nel bene o nel male

mi ha reso quello che sono oggi

anzi

ringrazio

chi mi ha fatto scoprire

l’amore e il dolore

chi mi ha amato e usato

chi mi ha detto

ti voglio bene credendoci

e chi invece l’ha fatto

solo per i suoi sporchi comodi

io ringrazio me stesso

per aver trovato sempre

la forza di rialzarmi e andare avanti

sempre

[Oscar Wilde]

L’uomo

L’uomo si identifica con il ruolo che è costretto a vivere: padre, figlio, padrone, operaio, impiegato, dirigente, professionista, intellettuale, guru, furbo, tonto, forte, debole, manager, ministro, disoccupato, ecc. Per ognuno di questi ruoli esistono comportamenti sociali, abbigliamenti, modi di pensare e di esprimersi cui ciascuno si adegua inconsapevolmente. E quindi non siamo mai individui autentici, ma veri e propri imitatori: imitiamo modelli e stereotipi prodotti dalla società in cui viviamo. Persino nei comportamenti più intimi recitiamo in realtà dei ruoli precostituiti, che non si limitano soltanto a comportamenti e ad atteggiamenti convenzionali, ma che penetrano anche all’interno delle nostre convinzioni, dei nostri giudizi, della nostra coscienza. Insomma continuiamo a recitare. L’inquinamento della nostra mente è troppo esteso. Bisogna imparare a dire la verità, ma per dire la verità, bisogna essere diventati capaci di conoscere che cos’è la verità e che cos’è la menzogna… soprattutto in se stessi.

[Georges Ivanovič Gurdjieff]

In ogni cosa

In ogni cosa ho voglia di arrivare

Sino alla sostanza.

Nel lavoro, cercando la mia strada,

nel tumulto del cuore.

Sino all’essenza dei giorni passati,

sino alla loro ragione,

sino ai motivi, sino alle radici,

sino al midollo.

Eternamente aggrappandomi al filo

Dei destini, degli avvenimenti,

sentire, amare, vivere, pensare

effettuare scoperte.

Boris Pasternak

Donne Medicina

Non tutti possono avere la fortuna di stare con una donna Medicina.

Fortuna sì, perché le donne Medicina sono come l’acqua pulita di una cascata, sono forti, brillanti, sincere, trasparenti, sono …

Sanno dirigere le forze della loro spiritualità e sono alleate della natura. Ecco perché sono proprietarie e signore della loro vita, e questo le rende pericolose. Hanno spirito di maga, sangue di stregoni, forza di guerriera, cuore di guaritrici.

Hanno gli occhi quasi sempre tristi, quasi sempre felici, quasi sempre entrambe le cose.

Sanno amare ….

… ma amano senza limiti, con tutto il fuoco dell’universo.

Non puoi fermarle quando amano, come non puoi fermare una tempesta quando arriva.

Stare accanto a questo tipo di donna….

significa abbracciare la follia, perché essere pazzo è ciò che ti fa sentire. Perché la sua tenerezza, la sua dolcezza, il suo fuoco, la sua dedizione, la sua elegante fragilità, spesso ti trascina nell’estasi.

Poi ti guardi indietro e pensi che forse senza di lei saresti stato….

più tranquillo, più sereno, forse sì, forse no… Ma con lei sentirai la vita e dopo di che senza di lei vorrai morire.

Quando una donna medicina decide di andarsene, non guarda indietro, impugna il suo cuore, lo blinda, si reinventa, rinasce come la fenice, e diventa più potente.

C’è chi abbandona questo tipo di donne, chi se ne va…

Per codardia, perché non sanno come trattarle, sono un unicorno, quasi mitiche, una sfida.

Sono attratti dalla loro luce, dalla loro bellezza, dalla loro delicatezza. Ma quando si sanno superati, fuggono, la paura di perdere la tranquillità ruba il sonno, la calma, lasciandoli paralizzati.

Preferiscono tornare a ciò che è conosciuto, al quotidiano, alla loro zona di controllo, alla loro mediocrità.

Ma posso assicurarvi che nessuno le dimentica… perché sono terribilmente belle, intelligenti, grandiose, sagge, complesse e insostituibili…

Madelen Lewis