La crescita del livello culturale dell’uomo all’inizio del terzo millennio, la globalizzazione, la tecnologia che sforna a ritmo continuo apparecchiature e congegni molto avanzati, il multiculturalismo e via dicendo, sostanzialmente il nuovo che avanza, non solo hanno cambiato il nostro stile di vita ma hanno valorizzato vocaboli come obsolescenza, senescenza, innovazione, ecc.
L’obsolescenza (diminuzione progressiva di efficienza, validità e gradimento all’interno di un ambiente), ad esempio, tra l’altro, ha relegato nel dimenticatoio parole che un tempo godevano di largo consenso. Una di queste è “sbolognare”, una parola che al tempo della mia giovinezza – la lingua batte dove il dente duole – era sulla bocca di tutti, soprattutto coetanei. Manco a dirlo, recentemente mi è tornata alla mente lasciandomi basito; nel senso che il dubbio si è impadronito di me. Essendo che, come più volte accennato, da qualche tempo la mia mente fa i capricci, ho consultato un vocabolario online.
Con mia grande sorpresa (sono moltissimi anni che non la sentivo pronunciare) l’esito è stato positivo. Si tratta di un verbo transitivo. “Voce del gergo furbesco, prob. deformazione di bolgerare, variante di buggerare, con s-intensivo e accostamento paretimologico a Bologna (un tempo luogo di smercio di ori falsi) – cito letteralmente – altri significati: liberarsi di un oggetto di nessun pregio, vendendolo più o meno astutamente o regalandolo. Togliersi di torno una persona non gradita.”
Quanto mi piacerebbe “sbolognare” i ricordi sgraditi…
Luigi Lavorgna