Cosa fa un filosofo?

La difficoltà sta nel fatto che si può spiegare meglio la filosofia facendola che cercando di descriverla. In parte si tratta di un modo di affrontare le questioni e di un tentativo di risolvere quei problemi di cui si è tradizionalmente interessato chi si è definito <<filosofo>> e che tale è stato definito.

[Popkin & Stroll, Filosofia per tutti]

La filosofia

La filosofia com’era concepita dagli Antichi non ha lo scopo di formare esperti, ma uomini. Oggi il «filosofo» viene confuso con uno «storico» della filosofia o delle idee. Anche se lo studio delle opinioni di chi ci ha preceduti è molto prezioso, possiamo filosofare anche senza conoscerli, e lo facciamo quando ci stupiamo, ci poniamo domande, ragioniamo e cerchiamo di vivere la miglior vita possibile. I bambini ne sono capaci.

[Frédéric Lenoir – “La saggezza spiegata a chi la cerca”]

Un tesoro nascosto

Per anni ho accumulato nella mia biblioteca libri, riviste, ritagli da quotidiani e riviste, appunti scritti a mano e poi a computer, che impreziosiscono quello che io enfaticamente chiamo il mio studio. Ad una stima molto approssimativa credo che nelle quattro vetrine trovino posto non meno di quattromila volumi che, negli anni mi sono premurato di sistemarli tematicamente. Cosa assai complicata in considerazione che i volumi sono stati acquistati nel tempo seguendo gli interessi del momento. Vale a dire, una volta si trattava di cinema, un’altra ancora giurisprudenza, poi pedagogia, poi didattica, poi psicologia, poi filosofia, poi crescita personale, poi management, poi marketing, poi comunicazione, senza contare altri fuori categoria. E infine, tra le altre enciclopedie, universali e tematiche, fa bella figura di sé la Treccani, quella piccola, però.

Un inciso: ho progettato io stesso l’arredo. Ispirandomi a quello presente in sala dell’Università Federico II di Napoli, contattai un falegname che realizzò un vero capolavoro in noce tanganica.

Per rendere l’idea, per diversi anni il mio slogan preferito è stato: “Una giornata senza acquistare libri è una giornata persa”. Ricordo ancora la gioia, la passione quando di passaggio a Napoli mi recavo a via Port’Alba dove c’erano molteplici librerie e bancarelle colme di libri sulla strada. Mi aggiravo per ore rapito tra libri nuovi, libri usati, libri antichi, libri d’occasione… era una goduria indescrivibile. Guardavo, toccavo, leggevo la quarta di copertina, a volte sfogliavo. Raramente mi è capitato di tornare a casa a mani vuote.

Ho letto tanto… ho letto poco?

Purtroppo devo ammettere, metaforicamente parlando, che volevo scalare la vetta dell’Everest e invece ho “scalato” a malapena il colle dove sorge la “Rocca” a San Salvatore telesino (BN). Tradotto, credo di aver letto solamente circa il 3% dei libri. Vergognoso, rispetto a quelle che erano le aspettative iniziali.

Motivazione?

Poteri accampare scuse quali gli impegni di lavoro – credo di poter affermare che fare il docente sia uno dei lavori più usuranti che esistano – le esigenze familiari e quant’altro, ma credo, con un atto di sincerità, che sia dovuto alla procrastinazione. “Quando andrò in pensione – mi dicevo – potrò finalmente leggere buona parte dei miei amati libri.”

Ovviamente, per motivi che non sto a specificare per non tediare il lettore, ho dovuto con rammarico prende atto dell’ennesimo flop. Vorrei… mi alzo dal letto con le migliori intenzioni del mondo, comincio a sfogliare qualche libro dei miei autori preferiti, ma dopo qualche pagina quando va bene, desisto.

Mi sforzo, provo e riprovo quasi tutte le mattine, ma…

Mi guardo intorno, a volte cambio di posto qualche libro e quasi sempre il pensiero comincia a vagare senza controllo. Ma quello che fa più male è il pensiero che tutti quei libri rappresentano un tesoro nascosto di cui forse nessuno potrà beneficiare e che in futuro possano finire accatastati in soffitta ad ammuffire sepolti dalla polvere o peggio ancora al macero.

È proprio vero, “ogni cosa a suo tempo”

Luigi Lavorgna

Dimensione uomo [30]

Dimensione uomo [30]

L’esistenzialista

Tristezza, abbigliamento nero, ribellione alle convenzioni sociali e alle istituzioni, voglia di libertà… caratterizzano l’esistenzialista. L’esistenzialismo è una filosofia e un atteggiamento di pensiero che fa della libertà e della responsabilità individuale una ragione di vita. Sostanzialmente l’esistenzialista afferma il primato dell’esistenza sull’essenza. Mentre il nichilista nega l’esistenza di valori, per l’esistenzialista non esistono valori predeterminati e tocca ad ognuno costruirsi un proprio sistema di valori. Rifiuta ogni dottrina religiosa preferendo vivere secondo le proprie regole e assecondando la propria volontà. Per lui, il senso della vita è quello che ognuno gli dà.

Il razionalista

Concreto e pratico nell’azione, per il razionalista, comportamenti ed opinioni dovrebbero essere supportati dalla ragione e non dalla fede e dai dogmi religiosi che ci rallentano soltanto. Sostanzialmente il razionalista è convinto che la ragione prevale sull’intuizione e sui sentimenti. Per lui la ragione è la condizione sine qua non per la conoscenza.

Per il razionalista l’uomo deve utilizzare la ragione per esplorare il mondo in quanto sola chiave efficace per la comprensione. L’istinto è il nemico numero uno del razionalista.

Il pragmatico

Pragmatico è colui che giudica fatti e avvenimenti con senso pratico. Per lui la verità di un’affermazione si misura in base all’utilità nel contesto reale.

Una persona pragmatica non si sofferma sugli aspetti teorici e astratti delle cose ma tende al fare e alla realizzazione concreta degli obiettivi. Soprattutto in campo lavorativo, intraprendenza e praticità che lo caratterizzano sono doti apprezzate.

Le persone pragmatiche agiscono per la risoluzione dei problemi facendo delle scelte nella consapevolezza che la praticità assicura gli effetti migliori.

L’idealista

L’idealista, nella convinzione che l’unico vero carattere della realtà sia di ordine spirituale, valorizza la dimensione ideale rispetto a quella materiale.

Sostanzialmente è un modo di pensare e di vedere le cose di chi crede in un ideale e tende a realizzarlo. Confidando nella forza delle idee e nel valore dei principi ideali, l’idealista, al contrario del materialista, si propone un ideale e cerca di realizzarlo. Sostanzialmente, si attiene a un modello ideale invece che alla realtà.

Il materialista

Essendo il materialismo una concezione filosofica per la quale l’unica realtà esistente è la materia e tutte le cose hanno una natura materiale, materialista è colui che è votato ad apprezzare solo i beni e i piaceri materiali. Persegue fini puramente utilitari e vive una vita orientata al godimento e algustare i piaceri dei sensi. La persona materialista basa la sua esistenza sul possesso materiale delle cose, associando la propria felicità alla quantità di beni posseduti.

(continua)

Luigi Lavorgna

C’era una volta il “sarrismo”

Che cos’è il sarrismo. Secondo il vocabolario Treccani per sarrismo s’intende: <<La concezione del gioco del calcio propugnata dall’allenatore Maurizio Sarri, fondata sulla velocità e la propensione offensiva; anche, il modo diretto e poco diplomatico di parlare e di comportarsi che sarebbe tipico di Sarri.>>

Bellissimo ed esauriente questo ritratto del sarrismo fatto dal giornalista napoletano Jacopo Ottenga con un post sulla sua pagina:

Il Sarrismo è Trasgressione. È indossare una tuta stropicciata, mordicchiare nervosamente il filtro di una sigaretta, è non essere democristiani, è un “cazzo” pronunciato senza remore, il ripudio della cultura dell’apparire, l’esaltazione della pura essenza.

Il Sarrismo è Perfezione. È Koulibaly che cancella dal vocabolario il verbo “spazzare”, è Jorginho che sa sempre cosa fare, è un lampo di genio di Mertens, una verticalizzazione di Insigne, un taglio di Callejon che ti aspetti ma non riesci a prevenire. È uno schema su calcio piazzato, è la linea a quattro di difesa che si muove all’unisono, una triangolazione che lascia basiti, una sinfonia che apre e chiude le maglie avversarie come fossero il mantice di una fisarmonica.

Il Sarrismo è Rivoluzione, vento di cambiamento, è l’idea di costruire un nuovo calcio sulla completa e ben visibile rovina del vecchio.

Il Sarrismo è una filosofia di vita, la ricerca ostinata della Bellezza. È anteporre il percorso al traguardo, il gioco al risultato. È guardare lontano confidando nel lavoro del collettivo, accettare il rischio dell’incompiutezza per inseguire un fine più alto, quasi trascendente.

Il Sarrismo è un sogno, che prescinde da tempo, spazio e condizioni.

Il Sarrismo è il sogno che si è imposto alle intenzioni.

Tutti gli appassionati di calcio sanno chi è Maurizio Sarri: un allenatore che dopo una carriera ultratrentennale iniziata tra i dilettanti di seconda categoria ha scalato le graduatorie fino alla consacrazione internazionale con la vittoria nella stagione 2018/2019 dell’Europa League alla guida del Chelsea e alla vittoria, nella stagione successiva dello scudetto alla guida della Juventus. Tralascio i dettagli di questa “escalation” per sottolineare che viene sollevato dall’incarico l’8 agosto 2020. Motivazione: i deludenti risultati maturati dall’allenatore nelle altre competizioni stagionali, in particolare la precoce eliminazione agli ottavi di finale della Champions per mano dell’Olympique Lione.

Ad occhio e croce, per un quinquennio è stato osannato, venerato, portato ad esempio… poi all’improvviso l’oblio.

La parabola di Maurizio Sarri è un esempio lampante dell’ennesima contraddizione della società odierna dove sperimentare i due estremi della vita è molto facile. Per passare dalla gloria all’infamia, dalla ricchezza alla miseria e via dicendo, ovvero transitare “dalle stelle alle stalle” per dirla con mia madre, il passo è breve.

Luigi Lavorgna

Tacere

Tacere non significa che io non abbia niente da dire, o che quello che vedo mi sta bene. Il mio tacere vuol dire: “Ho capito chi sei e non vali nemmeno la mia attenzione.” Il silenzio non è vuoto, ma è pieno di risposte. È solo quando riesci a “tacere”, evitando discussioni inutili, che mostri la tua intelligenza e la tua saggezza. Questa è quel genere di filosofia che non è nata per essere insegnata, ma per essere “praticata”.

[Luciano de Crescenzo]

La tecnica come forma assoluta di razionalità

Questo post su Facebook ha attirato la mia attenzione e dal momento che trattava un argomento al quale sono molto sensibile ho deciso di citarlo integralmente sul mio blog. Per me personalmente. a prescindere dalle tesi del prof Galimberti e del Guasti che, tra l’altro in alcuni punti convergono, è difficile esprimere un giudizio definitivo pro o contro la tesi galimbertiana che definisce la tecnica come la forma assoluta di razionalità, prima perché in tema di filosofia sono un dilettante e secondo per il fatto che, sempre secondo me, in ogni cosa convivono i pro e i contro.

Ad ogni modo, ecco il post del Guasti:

<<Ho sempre voluto fare questa domanda al Prof Galimberti, che stimo, ma nonostante due sue conferenze, a cui ho assistito non ce l’ho fatta.

La domanda è questa:

Prof Galimberti lei definisce la tecnica come la forma assoluta di razionalità; sotto di lei ci sta la tecnologia, l’economia, la politica ecc.

Secondo il suo pensiero, la tecnica disumanizza l’uomo, esso diventa un mezzo e non più un fine della tecnica, in essa non c’è fine se non solo quello di autopotenziarsi.

Questo suo pensiero lo condivido in parte.

Un domani se l’uomo potrà sconfiggere il cancro, sarà per la tecnica, se un domani si potrà trapiantare organi malati con artificiali, sarà per la tecnica e infine se un domani l’uomo potrà abbandonare una terra morente grazie a astronavi, sarà per la tecnica.

La tecnica a mio avviso come concetto filosofico ha due facce. E non mi riferisco al caso del uso buono o cattivo che ne fa l’uomo, la tecnica come concetto a sé non distingue la bomba nucleare dalla modifica del genoma umano; e se invece fosse la tecnica il passaggio da homo sapiens a homo sapiens sapiens?

Se poi si mette l’etica e la morale come cinghie direzionali alla tecnica, così umanizzandola e riconquistando il primato umano, c’è un grosso problema: chi dice cosa è giusto, cosa è sbagliato? E questo può valere per tutti? come se la legge morale sia dentro ognuno di noi, così diceva Kant, ma se è dentro di me non può essere universale perché ognuno di noi è un io specifico.

Il pensiero del prof Galimberti sulla tecnica lo condivido, così come il pensiero dei filosofi che cita ,ma è un pensiero totalmente negativo; invece penso che nel marcio ci sia qualcosa di positivo ed sarà quello alla fine a fare sviluppare l’uomo e le sue conoscenze . Come ben ricorda il prof Galimberti l’uomo non ha istinto, l’animale si; L’uomo ha la tecnica ed è quella che tra errori e cose giuste ci porterà sviluppo e conoscenza.

Sottolineando che il pensiero svolto da Galimberti lo condivido totalmente, ma considero il tema non trattato in modo esaustivo, Galimberti ci fa vedere un lato della medaglia sottolineandone la negatività, in una visione pessimistica ma manca l’altra parte.

Se l’animale è istinto e vive nella natura in modo armonioso, l’uomo è tecnica e sperimenta il mondo andando avanti la sua conoscenza non si appaga indipendentemente da letture socio economiche.

La tecnica è il destino dell’uomo.>>

[Gaetano Guasti]

Il manicomio dall’altra parte del muro

Fu nel parco di un manicomio che incontrai un giovane con il volto pallido e bello, colmo di stupore. E sedetti accanto a lui sulla panca, e gli domandai: “Perché sei qui?”.

E lui mi rivolse uno sguardo attonito e disse: È una domanda poco opportuna, comunque risponderò. Mio padre voleva fare di me una copia di se stesso, e così mio zio. Mia madre vedeva in me l’immagine del suo illustre genitore. Mia sorella mi esibiva il marito marinaio come il perfetto esempio da seguire. Mio fratello riteneva che dovessi essere identico a lui: un bravissimo atleta. E anche i miei insegnanti, il dottore in filosofia, e il maestro di musica, e il logico, erano ben decisi: ognuno di loro, voleva che io fossi il riflesso del loro volto in uno specchio. Per questo sono venuto qui. Trovo l’ambiente più sano. Qui almeno posso essere me stesso.”

E di scatto si volse verso me e chiese: “Anche tu sei qui a causa dell’educazione e dei buoni consigli?”

Ed io risposi: “No, sono qui in visita”.

E lui disse: “Ah, ho capito. Vieni dal manicomio dall’altra parte del muro”.

 

[Khalil Gibran]

Fase 2. Pandemia COVID-19. Cosa vuol dire essere liberi?

   “L’esistenzialismo, come filosofia della crisi del ‘900 e come filosofia della responsabilità, fu prima un’atmosfera e poi divenne un pensiero. Oggi appare più che mai attuale, e può illuminarci sull’atteggiamento da tenere.

   Jean Paul Sartre nell’opera, L’esistenzialismo è un umanismo del 1945, ci ricorda che l’uomo è destinato ad operare una scelta, e lo fa anche quando si astiene dallo scegliere perché pensa di demandare ad un Dio o alle leggi politiche e sociali la responsabilità. “Ciò che non è assolutamente possibile è non scegliere”.

   Il monito che viene dal passato e da un pensiero così denso e così importante, che nacque durante la seconda guerra mondiale, può essere per noi quello di non aspettare che ci dicano cosa sia giusto fare, ma di assumerci la responsabilità della scelta, considerando che qualsiasi scelta attuiamo è qualcosa che ricade sempre anche sull’umanità.

   Ricordarlo in questo momento difficile può farci ritrovare la bussola dell’orientamento verso ciò che davvero ha valore, ovvero la vita.” [Loredana di Adamo]

Essere felici: dare voce al nostro demone o al senso della misura?

<<Aristotele dice nell’Etica che lo scopo della vita è la felicità. La felicità si chiama eudaimonìa. Eu significa bene; daimon vuol dire demone; l’eudaimonia è la buona riuscita del tuo demone. Ciascuno di noi ha dentro di sé un demone. Che cos’è un demone? E qual è la tua virtù intesa non in senso cristiano di sacrificio. Virtù vuol dire capacità, dal greco areté. Che cos’è la tua virtù? Perché sei nato? Che cosa vuoi fare nella vita? Che cosa ti spinge a fare l’attore piuttosto che il pittore, piuttosto che l’ingegnere, piuttosto che…? L’hai scoperto il tuo demone? Perché se l’hai scoperto lo devi realizzare e se lo realizzi bene raggiungi l’eudaimonia, la buona riuscita del tuo demone e cioè la tua buona autorealizzazione. E come faccio a sapere qual è il mio demone? Platone dice che l’oracolo di Delfi ha detto due grandi verità: conosci te stesso e la giusta misura.

<<Se tu non conosci te stesso come fai a sapere qual è il tuo demone? Cosa fai? Guardi la televisione e vedi quello che ti piacerebbe fare a partire da lì? O vai alle partite di calcio e dici “io voglio diventare Ibrahimović e magari non sai neanche tirare la palla? No, devi conoscere te stesso. Devi fare un lavoro di autoriflessione. Devi capire chi sei. C’è un mucchio di gente che vive a propria insaputa; non solo i giovani, anche gli adulti, soprattutto loro. I quali sono alienati cinque giorni alla settimana perché realizzano non se stessi ma gli scopi dell’apparato di appartenenza. E poi il sabato e la domenica che potrebbero rivolgere anche uno sguardo a se stessi, scappano da se stessi come dal peggior nemico. Si mettono in macchina e fanno ilo week-end. Per distrarsi, da sé.

<<Una volta che hai scoperto il tuo demone vedi di realizzarlo. Ma nella realizzazione devi farlo secondo misura. Sei un attore, ma non sei bravo come Marcello Mastroianni e allora non tentare di essere bravo come lui o più di lui, esamina le tue capacità, collocati là dove sei, non oltrepassare la misura perché altrimenti prepari la tua rovina. E allora: conosci te stesso e realizza il tuo demone secondo misura. A quel punto, se riesci a stare in questo scenario diventi felice. I greci non avevano nessun catalogo per capire come ti dovevi comportare; per loro c’era una sola categoria: la giusta misura. Non oltrepassare mai la tua misura. I greci non avrebbero mai scolpito i “bronzi di Riace” che sono fuori misura; essi scolpiscono a misura d’uomo: il discobolo, l’auriga. La giusta misura, è in tutte le cose, perché anche la bellezza è la giusta proporzione degli elementi. Questa categoria deriva dal fatto che l’uomo è mortale. I greci avevano due parole per dire uomo, ma non usano né l’una e né l’altra. All’epoca di Omero usano brotos (colui che è destinato a morire); All’epoca di Platone usano thnetos (mortale). Siamo mortali, basta. Quella è la misura. E allora, quando ti arriva il dolore, la felicità, la potenza, la forza della vita espandila più che puoi. Limitatamente alla tua misura. E quando sopraggiunge il lavoro, reggilo ed evita di metterlo in scena.

<<Non muori perché ti sei ammalato, ma ti sei ammalato perché fondamentalmente devi morire. Questa è la grande misura greca, che i cristiani non hanno perché dopo questa vita ne aspettano un’altra; hanno un desiderio infinito. E hanno perso la giusta misura. Quanto Prometeo dona agli uomini la tecnica, il mito greco lo incatena alla roccia: “Prometeo incatenato”. Noi Prometeo, cioè la tecnica, l’abbiamo scatenata. Adesso la nostra capacità di fare supera di gran lunga la nostra capacità di prevedere gli effetti del nostro fare. Quindi ci muoviamo a mosca cieca, noi che abbiamo scatenato Prometeo. La cultura greca, l’etica greca sarebbe una grande etica che dovrebbe intervenire nell’occidente, a contenere la sua volontà di potenza, a contenere la riduzione della terra da luogo di abitazione dell’uomo a materia prima, non da usare ma da usurare.>>

Umberto Galimberti [https://www.youtube.com/watch?v=OqDPNkGAGtA]