Le idee

Conosciamo le malattie del corpo, con qualche difficoltà le malattie dell’anima, quasi per nulla le malattie della mente. Eppure anche le idee della mente di ammalano, talvolta si irrigidiscono, talvolta si assopiscono, talvolta, come le stelle, si spengono. E siccome la nostra vita è regolata dalle nostre idee, di loro dobbiamo aver cura, non tanto per accrescere il nostro sapere, quanto piuttosto per metterlo in ordine.

[Umberto Galimberti – “I miti del nostro tempo”]

Le idee

Conosciamo le malattie del corpo, con qualche difficoltà le malattie dell’anima, quasi per nulla le malattie della mente. Eppure anche le idee della mente di ammalano, talvolta si irrigidiscono, talvolta si assopiscono, talvolta, come le stelle, si spengono. E siccome la nostra vita è regolata dalle nostre idee, di loro dobbiamo aver cura, non tanto per accrescere il nostro sapere, quanto piuttosto per metterlo in ordine.

[Umberto Galimberti – “I miti del nostro tempo”]

La tecnica come forma assoluta di razionalità

Questo post su Facebook ha attirato la mia attenzione e dal momento che trattava un argomento al quale sono molto sensibile ho deciso di citarlo integralmente sul mio blog. Per me personalmente. a prescindere dalle tesi del prof Galimberti e del Guasti che, tra l’altro in alcuni punti convergono, è difficile esprimere un giudizio definitivo pro o contro la tesi galimbertiana che definisce la tecnica come la forma assoluta di razionalità, prima perché in tema di filosofia sono un dilettante e secondo per il fatto che, sempre secondo me, in ogni cosa convivono i pro e i contro.

Ad ogni modo, ecco il post del Guasti:

<<Ho sempre voluto fare questa domanda al Prof Galimberti, che stimo, ma nonostante due sue conferenze, a cui ho assistito non ce l’ho fatta.

La domanda è questa:

Prof Galimberti lei definisce la tecnica come la forma assoluta di razionalità; sotto di lei ci sta la tecnologia, l’economia, la politica ecc.

Secondo il suo pensiero, la tecnica disumanizza l’uomo, esso diventa un mezzo e non più un fine della tecnica, in essa non c’è fine se non solo quello di autopotenziarsi.

Questo suo pensiero lo condivido in parte.

Un domani se l’uomo potrà sconfiggere il cancro, sarà per la tecnica, se un domani si potrà trapiantare organi malati con artificiali, sarà per la tecnica e infine se un domani l’uomo potrà abbandonare una terra morente grazie a astronavi, sarà per la tecnica.

La tecnica a mio avviso come concetto filosofico ha due facce. E non mi riferisco al caso del uso buono o cattivo che ne fa l’uomo, la tecnica come concetto a sé non distingue la bomba nucleare dalla modifica del genoma umano; e se invece fosse la tecnica il passaggio da homo sapiens a homo sapiens sapiens?

Se poi si mette l’etica e la morale come cinghie direzionali alla tecnica, così umanizzandola e riconquistando il primato umano, c’è un grosso problema: chi dice cosa è giusto, cosa è sbagliato? E questo può valere per tutti? come se la legge morale sia dentro ognuno di noi, così diceva Kant, ma se è dentro di me non può essere universale perché ognuno di noi è un io specifico.

Il pensiero del prof Galimberti sulla tecnica lo condivido, così come il pensiero dei filosofi che cita ,ma è un pensiero totalmente negativo; invece penso che nel marcio ci sia qualcosa di positivo ed sarà quello alla fine a fare sviluppare l’uomo e le sue conoscenze . Come ben ricorda il prof Galimberti l’uomo non ha istinto, l’animale si; L’uomo ha la tecnica ed è quella che tra errori e cose giuste ci porterà sviluppo e conoscenza.

Sottolineando che il pensiero svolto da Galimberti lo condivido totalmente, ma considero il tema non trattato in modo esaustivo, Galimberti ci fa vedere un lato della medaglia sottolineandone la negatività, in una visione pessimistica ma manca l’altra parte.

Se l’animale è istinto e vive nella natura in modo armonioso, l’uomo è tecnica e sperimenta il mondo andando avanti la sua conoscenza non si appaga indipendentemente da letture socio economiche.

La tecnica è il destino dell’uomo.>>

[Gaetano Guasti]

4.1. Una scuola a misura d’uomo

   Forse mai come in questo periodo, facebook è diventato una vera e propria fucina che sforna a raffica cazzate in quantità industriale, ma anche interessanti riflessioni, citazioni di filosofi e uomini di cultura, poesie, foto, filmati, sketch, ecc. ecc. I post afferenti al mondo calcistico, alla sfera religiosa – quando la paura è grande riscopriamo Dio – all’umorismo, alle ricette culinarie, corredati di foto che nulla lasciano all’immaginazione, misti a sponsorizzazione di Continua a leggere “4.1. Una scuola a misura d’uomo”

2. La libertà, è soltanto un’utopia?

   La domanda alla quale oggi cercheremo di dare una risposta è: <<A prescindere dall’emergenza “coronavirus”, l’uomo è davvero libero, oppure la libertà è soltanto un’utopia?>>

   <<La Libertà è come l’aria: ci si accorge quanto vale quando comincia a mancare>> sottolineava Piero Calamandrei, avvocato, politico e accademico italiano del secolo scorso. Come dargli torto?

   Credo che mai come in questi giorni di clausura forzata ci si sia resi conto di quanta verità contengano queste parole. Se ci riflettete un attimino, converrete anche voi che Continua a leggere “2. La libertà, è soltanto un’utopia?”

Galimberti e Coronavirus

<<In preda a una nuova solitudine, dovremo fare i conti con una visione più precaria della vita, dove siamo meno immortali. Saremo costretti, infatti, a stare sempre di più con noi stessi e con la nostra famiglia. Finirà l’epoca dell’eccesso, quella degli influencer, perché quando c’è in pericolo la vita, la salute, emergono valori che avevamo rimosso. Potrebbero esserci dei cambiamenti migliorativi: una depurazione dal sovraccarico di superficialità che ha caratterizzato questo secolo e una fortificazione dei legami affettivi. Non credo che saremo più soli, quanto “diversamente soli”. L’umanità ha sempre saputo gestire le difficoltà. Ce lo insegna la storia e i conflitti mondiali che hanno caratterizzato il Novecento. Adesso siamo in una fase di cambiamento epocale. Da circa un secolo, infatti, l’umanità non ha subito cambiamenti significativi e ora si trova ad affrontare qualcosa di epocale. Che prima o poi arrivasse era prevedibile, anche se nessuno poteva immaginare che sarebbe stata un’epidemia a cambiare le nostre vite forse per sempre.>>

Umberto Galimberti (fonte web)

Essere felici: dare voce al nostro demone o al senso della misura?

<<Aristotele dice nell’Etica che lo scopo della vita è la felicità. La felicità si chiama eudaimonìa. Eu significa bene; daimon vuol dire demone; l’eudaimonia è la buona riuscita del tuo demone. Ciascuno di noi ha dentro di sé un demone. Che cos’è un demone? E qual è la tua virtù intesa non in senso cristiano di sacrificio. Virtù vuol dire capacità, dal greco areté. Che cos’è la tua virtù? Perché sei nato? Che cosa vuoi fare nella vita? Che cosa ti spinge a fare l’attore piuttosto che il pittore, piuttosto che l’ingegnere, piuttosto che…? L’hai scoperto il tuo demone? Perché se l’hai scoperto lo devi realizzare e se lo realizzi bene raggiungi l’eudaimonia, la buona riuscita del tuo demone e cioè la tua buona autorealizzazione. E come faccio a sapere qual è il mio demone? Platone dice che l’oracolo di Delfi ha detto due grandi verità: conosci te stesso e la giusta misura.

<<Se tu non conosci te stesso come fai a sapere qual è il tuo demone? Cosa fai? Guardi la televisione e vedi quello che ti piacerebbe fare a partire da lì? O vai alle partite di calcio e dici “io voglio diventare Ibrahimović e magari non sai neanche tirare la palla? No, devi conoscere te stesso. Devi fare un lavoro di autoriflessione. Devi capire chi sei. C’è un mucchio di gente che vive a propria insaputa; non solo i giovani, anche gli adulti, soprattutto loro. I quali sono alienati cinque giorni alla settimana perché realizzano non se stessi ma gli scopi dell’apparato di appartenenza. E poi il sabato e la domenica che potrebbero rivolgere anche uno sguardo a se stessi, scappano da se stessi come dal peggior nemico. Si mettono in macchina e fanno ilo week-end. Per distrarsi, da sé.

<<Una volta che hai scoperto il tuo demone vedi di realizzarlo. Ma nella realizzazione devi farlo secondo misura. Sei un attore, ma non sei bravo come Marcello Mastroianni e allora non tentare di essere bravo come lui o più di lui, esamina le tue capacità, collocati là dove sei, non oltrepassare la misura perché altrimenti prepari la tua rovina. E allora: conosci te stesso e realizza il tuo demone secondo misura. A quel punto, se riesci a stare in questo scenario diventi felice. I greci non avevano nessun catalogo per capire come ti dovevi comportare; per loro c’era una sola categoria: la giusta misura. Non oltrepassare mai la tua misura. I greci non avrebbero mai scolpito i “bronzi di Riace” che sono fuori misura; essi scolpiscono a misura d’uomo: il discobolo, l’auriga. La giusta misura, è in tutte le cose, perché anche la bellezza è la giusta proporzione degli elementi. Questa categoria deriva dal fatto che l’uomo è mortale. I greci avevano due parole per dire uomo, ma non usano né l’una e né l’altra. All’epoca di Omero usano brotos (colui che è destinato a morire); All’epoca di Platone usano thnetos (mortale). Siamo mortali, basta. Quella è la misura. E allora, quando ti arriva il dolore, la felicità, la potenza, la forza della vita espandila più che puoi. Limitatamente alla tua misura. E quando sopraggiunge il lavoro, reggilo ed evita di metterlo in scena.

<<Non muori perché ti sei ammalato, ma ti sei ammalato perché fondamentalmente devi morire. Questa è la grande misura greca, che i cristiani non hanno perché dopo questa vita ne aspettano un’altra; hanno un desiderio infinito. E hanno perso la giusta misura. Quanto Prometeo dona agli uomini la tecnica, il mito greco lo incatena alla roccia: “Prometeo incatenato”. Noi Prometeo, cioè la tecnica, l’abbiamo scatenata. Adesso la nostra capacità di fare supera di gran lunga la nostra capacità di prevedere gli effetti del nostro fare. Quindi ci muoviamo a mosca cieca, noi che abbiamo scatenato Prometeo. La cultura greca, l’etica greca sarebbe una grande etica che dovrebbe intervenire nell’occidente, a contenere la sua volontà di potenza, a contenere la riduzione della terra da luogo di abitazione dell’uomo a materia prima, non da usare ma da usurare.>>

Umberto Galimberti [https://www.youtube.com/watch?v=OqDPNkGAGtA]

“Vizi privati, pubbliche virtù”

   Vizi privati, pubbliche virtù è il titolo di un film del 1976 diretto dal regista ungherese Miklós Jancsó che, sebbene mi sia ripromesso più volte di vedere, non ho mai visto. È tornato alla ribalta allorquando ho cominciato a leggere I vizi capitali e i nuovi vizi di Umberto Galimberti.

   Nell’introdurre il tema, il filosofo parte dal contrasto esistente tra il concetto rigoristico della virtù – principio base del cristianesimo – vista come mortificazione dei bisogni e dei desideri naturali, e le esigenze dell’economia che invece si regge sulla soddisfazione non solo dei bisogni, ma soprattutto dei vizi.

    Nel momento in cui, con l’avvento della produzione di massa, c’è stato il passaggio da uno stato di bisogno ad uno stato di soddisfazione del bisogno, è stata ufficializzata una frattura difficilmente sanabile. Per rafforzare il concetto Galimberti fa riferimento a La favola delle api, breve poema pubblicato nel 1705 da Bernard de Mandeville, medico e filosofo olandese. L’autore raccontava di come un alveare, prospero, felice e vizioso, non appena ci fu una riforma dei costumi, con la scomparsa del vizio finì anche la prosperità.

    È come dire che, nel caso il vizio dovesse scomparire, inizierebbe la decadenza della società, perché è proprio la tendenza al lusso e al superfluo che incrementando i consumi, facilita lo sviluppo economico e quindi il commercio. Di riflesso ne beneficerebbe la società tutta.

 

Adolescenti: “stranieri nella propria vita”

   Il filosofo Umberto Galimberti, in un suo libro*, partendo dal dato statistico che in Italia ogni giorno due giovani si tolgono la vita e altri dieci tentano di farlo, sottolinea che ci provano più le ragazze, ma che sono più determinati i ragazzi. Nell’adulto, asserisce lo studioso, la partita si gioca tra ciò che si è e la paura di perderlo; per gli adolescenti, invece, l’alternativa è tra il non sapere quello che si è e la paura di non riuscire Continua a leggere “Adolescenti: “stranieri nella propria vita””