ARAÑA RELLENA(STUFFED SPIDER)

cocinaitaly

BUENAS TARDE A TODOS EL MUNDO,HALLOWEN SE ACERCA POR ESTO VOY A PROPONER UN BUEN PLATO COMO UNA ARAÑA RELLENA, ES UN PLATO FACIL Y RAPIDO DA HACER,SE TARDA 15 MINUTOS EN PREPARARLO Y 25 MINUTOS EN COCINARLO,

SE PUEDE COMER COMO ENTRANTE O COMO PLATO UNICO ,NO ES DEMASIADO PESADO A NIVEL CALORICO,ES BASTANTE SALUDABLE,MAS MENOS EN TOTAL NO GASTAMOS 8-9 EURO PARA 2 PERSONAS.

DICHO ESTO ,COMO DE COSTUMBRE ,VE DEJO UN VIDEO COMPLETO QUE DURA 2 MINUTOS Y 15 SEGUNDOS CON DESCRIPCION DE LOS INGREDIENTES,PROCEDIMIENTO Y RESULTADO FINAL ,ESTA A VOZ EN CASTELLANO , POR ESCRITOEN INGLES.

AQUI PULSA EL VIDEO Y VERAS LA RECETA.

ARAÑA RELLENA(STUFFED SPIDER)

Como siempre por cualquier duda o pregunta podeis escribirme a este mismo blog a mi canal de youtube https://www.youtube.com/channel/UCaFe0HydTUfJE8PZ7q029Jg aqui abajo ve dejo la foto del resultado final ,BUON Y FELIZ HALLOWEN A TODOS EL MUNDO,nos vemos…

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Campioni d’altri tempi

“Il più bravo di tutti è stato Rivera. Poi è arrivato Baggio. Roberto mi ha conquistato con la sua vocazione a divertire e divertirsi nonostante i gravi infortuni patiti in avvio di carriera. Perciò eleggo lui a preferito. Eppure nella mia carriera da telecronista ho visto tanti campioni. Ho commentato cinque Mondiali e quattro Europei, peccati per non aver avuto il piacere di esultare per un trionfo azzurro.

Facchetti, Danova, Rivera sono stati gli amici che ho frequentato di più nel mondo del calcio. Ma ho vissuto un’epoca in cui i calciatori e i cronisti andavano a braccetto, si giocava a carte. Intervistare Rocco ad esempio era spesso molto divertente. Oggi sono mondi lontanissimi perché le squadre vivono in isolamento. Ma ho l’impressione che i rapporti siano difficili anche fra i giocatori. Al di là della tavolata negli orari canonici ognuno ha le sue cuffiette, il suo mondo. È difficilissimo per un tecnico creare un clima di complicità, solidarietà.

Spesso il calcio di oggi è noioso, i calciatori sembrano omologati, nessuno tenta di uscire dagli schemi, è un calcio muscolare e tattico, il talento è difficilmente esprimibile. Il calcio che ho commentato io si muoveva su ritmi più conciliabili con l’estro, produceva quasi sempre spettacolo”.

Parole proferite dal telecronista per eccellenza di tutte le generazioni. Il grande Bruno Pizzul.

Fonte: Gazzetta dello Sport

[dal Web]

Mancanza di carattere

Spesso incontro ragazzi demoralizzati: la loro tristezza non è però sintomo di un disagio psichico o mancanza di speranza, ma semplice mancanza di «carattere», cioè di scelte. Demoralizzato vuol dire infatti privato (de-) di morale (dal termine latino che indicava sia il carattere di una persona sia le leggi che ne guidano l’agire libero, perché sono inscindibili: io divento ciò che scelgo e faccio). I ragazzi si demoralizzano quando non sono allenati a scegliere, perché non li abbiamo messi in condizione di farsi carico della realtà, di risponderle. Rispondere e responsabilità hanno la stessa radice: irresponsabile è infatti chi non sente la realtà e ciò accade se la cultura dominante la nasconde.

[Alessandro D’Avenia, Demoralizzati, Corriere della Sera del 26/10/2020]

Le benzodiazepine non servono a curare l’ansia, anzi la cronicizzano.

Medicina, Cultura, e Legge.

Sono innumerevoli i pazienti che affetti da ansia, depressiva o non depressiva, si vedono prescrivere, dal medico generale, o dallo specialista psichiatra, ansiolitici benzodiazepinici, i quali non curano minimamente l’ansia, anzi la cronicizzano (oltre a creare, inevitabilmente, una grave dipendenza, tanto più nei soggetti psicologicamente “alterati”).

Le benzodiazepine servono unicamente ad attenuare, e per un breve periodo, i sintomi (non la malattia) legati all’ansia, sia di tipo sociale, generalizzata o somatizzata.

Sono utili solo per attenuare, al bisogno, un eventuale stato di particolare agitazione, in caso di attacchi di panico (solo al bisogno), e in pre-anestesia prima di interventi chirurgici.

Fuori da questi casi sono assolutamente sconsigliate, tanto più, sempre e comunque, il loro uso cronico.

Infatti, un loro uso continuato non solo cronicizza la patologia dell’ansia (la quale non viene curata), ma associa, ai sintomi della malattia stessa, tutta una serie di svariati e complessi sintomi da assuefazione e…

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È tutto dentro di me

Ora potrà sembrarti strano, ma non è facile per me ricordare quella notte in cui ti ho baciato per la prima volta. Il sapore delle tue labbra, la sensazione da pelle d’oca, l’espressione attonita dei tuoi occhi. È tutto dentro di me, registrato con precisione manco avessi avuto una cinepresa al posto del cuore. Eppure, le immagini si confondono. E il motivo lo conosco: ci penso troppo spesso.

È come quando guardi e riguardi una foto che ritrae la persona che più ami al mondo colta in un meraviglioso attimo fuggente, ormai scivolato via anni e anni fa. Te la porti sempre dietro, nel portafoglio, perché ti ricorda qualcosa di prezioso, un istante perfetto, prima che il tempo facesse il suo lavoro. E dopo averla estratta e rimirata, accarezzata, riposta con cura e ritirata fuori per osservarla ancora e ancora un miliardo di volte, perché non ne sei mai sazio, giorno dopo giorno si consuma, finché quel viso diventa indistinto e i lineamenti quasi scompaiono.

Non sai quanto spesso ho riavvolto il nastro della memoria per rivederne ogni piccolo dettaglio, soffermandomi su ogni inquadratura, per assaporarlo a fondo, come uno spettatore solitario in un cinema vuoto che guarda per l’ennesima volta il film che l’ha incantato da bambino, cercando di afferrarne sino in fondo il segreto. La memoria non è in digitale, gira come una vecchia pellicola, si consuma. E le immagini troppo amate si bruciano.

La consapevolezza che è stato il caso a farci conoscere, invece di riempirmi di buonumore, mi rende superstizioso. Mi sento come un sopravvissuto a un disastro. Il disastro che sarebbe potuta diventare la mia vita se non ti avessi incontrato.

Eppure, quella sera le farfalle hanno dispiegato le ali solo per noi.

Ferzan Ozpetek — Sei la mia vita

I soli

I soli sono individui strani

con il gusto di sentirsi soli fuori dagli schemi

non si sa bene cosa sono

forse ribelli forse disertori

nella follia di oggi i soli sono i nuovi pionieri.

I soli e le sole non hanno ideologie

a parte una strana avversione per il numero due

senza nessuna appartenenza, senza pretesti o velleità sociali

senza nessuno a casa a frizionarli con unguenti coniugali.

Ai soli non si addice l’intimità della famiglia

magari solo un po’ d’amore quando ne hanno voglia

un attimo di smarrimento, un improvviso senso d’allegria

allenarsi a sorridere per nascondere la fatica

soli, vivere da soli

soli, uomini e donne soli.

I soli si annusano tra loro

sono così bravi a crearsi intorno un senso di mistero

sono gli Humphrey Bogart dell’amore

sono gli ambulanti son gli dèi del caso

i soli sono gli eroi del nuovo mondo coraggioso.

I soli e le sole ormai sono tanti

con quell’aria un po’ da saggi, un po’ da adolescenti

a volte pieni di energia a volte tristi, fragili e depressi

i soli c’han l’orgoglio di bastare a se stessi.

Ai soli non si addice il quieto vivere sereno

qualche volta è una scelta qualche volta un po’ meno

aver bisogno di qualcuno, cercare un po’ di compagnia

e poi vivere in due e scoprire che siamo tutti

soli, vivere da soli

soli, uomini e donne soli.

La solitudine non è malinconia

un uomo solo è sempre in buona compagnia.

I soli

Giorgio Gaber [dal web]

L’altra faccia della medaglia

<<Insegno da quando ho 28 anni, oggi ne ho quasi 40. Insegno alle medie e credo di essere una brava insegnante, ma non perché mi senta una missionaria o una mamma dei miei alunni, non perché professionista delle competenze, ma perché fondamentalmente l’unica cosa che ho imparato a fare nella mia vita e che mi piace fare nella mia vita è studiare e provare ad imparare. Mi piace leggere, mi piace condividere quello che leggo, mi piace ascoltare, mi piace spiegare. E tutto ciò che so e che amo, so farlo solo in classe. Da oggi per me comincia di nuovo una didattica a distanza totale e totalizzante perché, nonostante Conte abbia ribadito che la scuola resta una priorità, nella mia regione tutti, indistintamente, anche la scuola della campagna del beneventano o dell’avellinese dove ci sono pochissimi casi o niente, restano a casa. Stamattina io mi collegherò per circa cinque ore, mia figlia di 10 anni, quinta elementare, per altre cinque, mio marito, insegnante di strumento musicale in un liceo musicale, per altre cinque. Iperconnessi. Finite le lezioni inizierà l’iperconnessione da whatsapp: i compiti, e poi i vari ‘non ho capito’, e poi il collegio online, e poi i messaggi dei dipartimenti, e poi la comunicazione n 400 (a Ottobre) che ho perso nei rivoli della rete, e poi monitora di qua e monitora di là, ma quello non si è connesso, quell’altro ha provato ma non ci è riuscito, fai la griglia, usa questa modalità di google, no quella del registro. Poi prepara le lezioni con slide su slide perché in video devi per forza aiutarti in questo modo altrimenti gli allievi li perdi totalmente. In classe la mia voce c’è, è chiara, la sento io e la sentono i miei allievi, e poi c’è la lavagna e il mio gessetto, dove io scrivo e appunto e cerco di chiarire ciò che dico e loro prendono appunti, imparano. Ecco, è finita di nuovo la vita vera e ricomincia di nuovo la vita trotterellante nel web. Staremo giornate intere attaccati ognuno al proprio pc e cellulare, di nuovo e chissà per quanto tempo! Finito il tempo della sveglia presto, fai colazione, sveglia la bambina e accompagnala a scuola e poi vai a scuola. Sentire l’aria, vedere il cielo, entrare in aula e guardare loro, fare un occhiolino e dire: ‘ciao ragazzi, come state? Ditemi un po’, oggi che facciamo?’ Finito. L’iperconnessione mi uccide. Uccide me e uccide mia figlia, aliena mio marito che da un computer dovrebbe insegnare a ogni suo singolo alunno a suonare il flauto, uccide i miei alunni. Siamo sicuri che il diritto alla salute si garantito chiudendo le scuole?? e siamo sicuri che per paura della morte non stiamo uccidendo generazioni intere di persone?>>

[dal Web, Prof Cinzia Servillo]

Un altro post che merita tutta la nostra attenzione perché tratta di un argomento attualissimo quale è quello dell’insegnamento al tempo del coronavirus. Essendo un docente in pensione comprendo appieno le ragioni della prof Servillo, purtroppo questo è uno di quei casi che, qualunque sia il punto di osservazione, fa male.

“Adesso sarete contenti”

Questo messaggio, rinvenuto su Facebook e scritto da un professore di Pordenone che, prendendo spunto dalla ragazza che ha tentato di suicidarsi qualche giorno fa, si rivolge ai ragazzi e ai genitori, credo che meriti di essere letto e meditato.

<<Oggi una ragazza della mia città ha cercato di uccidersi.

Ha preso e si è buttata dal secondo piano.

No, non è morta. Ma la botta che ha preso ha rischiato di prenderle la spina dorsale. Per poco non le succedeva qualcosa di forse peggiore della morte: la condanna a restare tutta la vita immobile e senza poter comunicare con gli altri normalmente.

“Adesso sarete contenti”, ha scritto. Parlava ai suoi compagni.

Allora io adesso vi dico una cosa. E sarò un po’ duro, vi avverto. Ma c’ho ‘sta cosa dentro ed è difficile lasciarla lì.

Quando la finirete?

Quando finirete di mettervi in due, in tre, in cinque, in dieci contro uno? Quando finirete di far finta che le parole non siano importanti, che siano “solo parole”, che non abbiano conseguenze, e poi di mettervi lì a scrivere quei messaggi – li ho letti, sì, i messaggi che siete capaci di scrivere – tutte le vostre “troia di merda”, i vostri “figlio di puttana”, i vostri “devi morire”.

Quando la finirete di dire “Ma sì, io scherzavo” dopo essere stati capaci di scrivere “non meriti di esistere”?

Quando la finirete di ridere, e di ridere così forte, quando passa la ragazza grassa, quando la finirete di indicare col dito il ragazzo “che ha il professore di sostegno”, quando la finirete di dividere il mondo in fighi e sfigati?

Che cosa deve ancora succedere, perché la finiate? Che cosa aspettate? Che tocchi al vostro compagno, alla vostra amica, a vostra sorella, a voi?

E poi voi. Voi genitori, sì. Voi che i vostri figli sono quelli capaci di scrivere certi messaggi. O quelli che ridono così forte.

Quando la finirete di chiudere un occhio?

Quando la finirete di dire “Ma sì, ragazzate”?

Quando la finirete di non avere idea di che diavolo ci fanno 8 ore al giorno i vostri figli con quel telefono?

Quando la finirete di non leggere neanche le note e le comunicazioni che scriviamo sul libretto personale?

Quando la finirete di venire da noi insegnanti una volta l’anno (se va bene)?

Quando inizierete a spiegare ai vostri figli che la diversità non è una malattia, o un fatto da deridere, quando inizierete a non essere voi i primi a farlo, perché da sempre non sono le parole ma gli esempi, gli insegnamenti migliori?

Perché quando una ragazzina di dodici anni prova a buttarsi di sotto, non è solo una ragazzina di dodici anni che lo sta facendo: siamo tutti noi. E se una ragazzina di quell’età decide di buttarsi, non lo sta facendo da sola: una piccola spinta arriva da tutti quelli che erano lì non hanno visto, non hanno fatto, non hanno detto.

E tutti noi, proprio tutti, siamo quelli che quando succedono cose come questa devono vedere, fare, dire. Anzi urlare. Una parola, una sola, che è: “Basta”.>>

L’ha scritta il prof Enrico Galliano di PN. Facciamola girare.

Tre cose nella vita

Esistono tre cose nella vita che possono distruggere una persona:

l’ira

l’orgoglio

l’odio

Esistono tre cose nella vita che non bisogna mai perdere:

la fede

l’amore

la speranza

Esistono tre cose nella vita che hanno più valore:

L’umanità

La sincerità

L’amicizia

Esistono tre cose nella vita che formano una persona:

Il rispetto

L’impegno

I valori

[Dal Web]

Tempo perso

“A lavà a capa ‘o ciuccio se perde l’acqua e ‘o sapone”, ovvero “a lavare la testa al ciuccio si spreca sia l’acqua che il sapone”, è un antico adagio, autentico pilastro della cultura subalterna, molto in voga dalle mie parti, che mi ha accompagnato per tutta l’infanzia.

Oggetto del contendere sono le persone che hanno la “capa tosta” e non vogliono cambiare idea nemmeno di fronte all’evidenza.

Due le chiavi di lettura: una negativa e l’altra positiva; la prima offensiva e l’altra giocosa. Nel primo caso questo proverbio suona come una pesante offesa rivolta ai testardi che non vogliono assolutamente accettare il fatto che i propri convincimenti possano essere messi in discussione.

Nel secondo caso, possiamo considerarlo uno sfottò carico di ammirazione, per lo più finalizzato a mettere in risalto una ferrea volontà, prezioso carburante per aiutare a superare qualsiasi ostacolo.

Difendere le proprie idee è cosa buona e giusta, ma sostenerne ostinatamente la validità al di là di ogni ragionevole dubbio è pura follia.

Riagganciandoci alla prima chiave di lettura, aggiungiamo che discutere con una persona ignorante e dura di comprendonio che ignora deliberatamente qualsiasi confronto con gli altri è una pura perdita di tempo, con l’aggravante di sprecare energia e risorse.

Sullo stesso tono questa storiella che raccontavo spesso ai miei studenti per richiamare la loro attenzione.

Durante le prove di un’orchestra, un musicista esce fuori tempo e il direttore, interrompendo la prova, gli domanda: <<Che tempo è?>> E l’altro, rosso in viso, farfuglia qualche scusa. Si riprende. Dopo qualche tempo, il musicista distratto ci ricasca. Stessa scena di prima. <<Che tempo è?!>> chiede di nuovo il direttore con un tono di voce minaccioso. Di nuovo le scuse. Si riprende. Dopo qualche altro minuto, ancora una stecca del solito noto. <<Che tempo è?!!>> chiede con un tono di rabbia misto a rassegnazione il direttore.

Per tutta risposta, dall’ultima fila, si sente una voce che dice. <<È tempo perso!!!>>

Luigi Lavorgna